E’ da stesi che si vedono le nuvole
















“[…] solleviamo i piedi anche solo qualche centimetro sopra il pavimento […], cessiamo di essere soldati nell'esercito dei verticali; diventiamo disertori. […] capaci di guardarci attorno, di guardare in alto, di guardare, per esempio, il cielo.” [On Being Ill, Virginia Woolf]
E se non ci fosse sempre bisogno di reggere il mondo, ma solo di lasciarsi toccare dalle nuvole?
Questa domanda nasce da una riflessione sull’adolescenza, intesa come un tempo in cui, senza saperlo, si abita una postura diversa da quella adulta: più bassa, più obliqua, più vulnerabile.
Realizzato tra il 2024 e il 2025 a Sesto San Giovanni, città lombarda storicamente conosciuta come la “Manchester d’Italia”, il corpo di lavoro si radica in un territorio segnato da una forte identità industriale e da una lunga tradizione di lotta operaia. Il Carroponte, struttura monumentale un tempo utilizzata per sollevare acciaio, è oggi riconvertito in spazio culturale, teatro di concerti e performance notturne.
Ma è di giorno che questo luogo racconta qualcosa di invisibile: si svuota, si acquieta, e svela una dimensione più intima. Sdraiati sull’erba, appoggiati ai bordi di un palco vuoto, sparsi tra angoli silenziosi, questi corpi sembrano abbandonare l’asse verticale della prestazione, cercando un’altra postura: più prossima all’altro, più in ascolto. Capace di tracciare una geografia comune, come fa la natura al cospetto del cielo.
L’indagine sul luogo e su chi oggi lo abita, prova a costruire un ponte con la memoria: un’eco della storia operaia che può trovare un nuovo linguaggio, mostrando una resistenza silenziosa, personale, che dialoga con quella collettiva del passato, alla ricerca di un’altra inclinazione.
Sono nata a Sesto San Giovanni. Una città costruita sull’acciaio, sulla lotta, sulla dignità del lavoro. La chiamavano la “Manchester d’Italia”, ma io la conosco attraverso i racconti di mia nonna. Non parlava solo di fabbriche, di lavoro e fatica: parlava di storie.
Quando ho iniziato questo progetto, mi sono chiesta: che cosa rimane oggi di quel passato di resistenza operaia? Cosa si è depositato nei luoghi? Mi sono accorta che il Carroponte — quella struttura immensa che un tempo sollevava metalli — oggi solleva altri pesi. La memoria. L'identità. La possibilità di esistere in un tempo più lento.
Questo luogo, simbolo del passato industriale, è stato riconvertito in spazio per concerti. Di notte vibra di suoni e corpi in movimento, ma chi lo ascolta, di giorno? Li ho visti così, i ragazzi. Sdraiati, obliqui, quieti, appoggiati ai bordi di un palco vuoto, sparsi tra angoli silenziosi. Come se il loro modo di stare nel mondo dicesse qualcosa che gli adulti dimenticano.
E allora mi sono chiesta: forse il corpo conosce qualcosa prima di noi? Forse, in quella postura, c'è un modo diverso di abitare la realtà? Un modo che non vuole performare, ma sentire, non conquistare, ma toccare, non vincere, ma respirare? Cosa accade se proviamo a guardare dal basso, come fanno loro? E se smettiamo di cercare il centro e ci sediamo ai bordi, cosa cambia nel nostro sguardo?
Scrive Virginia Woolf nel suo saggio On Being Ill “[…] solleviamo i piedi anche solo qualche centimetro sopra il pavimento […], cessiamo di essere soldati nell'esercito dei verticali; diventiamo disertori. […] capaci di guardarci attorno, di guardare in alto, di guardare, per esempio, il cielo.”
In foto: Angelina ed Enrico Prola | Sesto San Giovanni, 1940